La Mantova “green” fa riflettere su alberi, clima, cause ed effetti

mn

E’ arrivata in questi giorni una conferma importante per Mantova, che resta prima nella classifica di Legambiente nell’elenco delle città più verdi d’Italia, sigillando con un 78,14% il suo titolo di città green, seguita da Bolzano, Parma e Trento. Questa notizia ci fa piacere e insieme ci spinge alla riflessione, perché esattamente un mese fa a Fatticult abbiamo parlato di sistemi vegetali e contesti urbani, interrogandoci sul potere delle piante nei processi di rigenerazione delle città, che nel caso di Mantova è stato valutato proprio come uno degli indicatori vincenti, insieme a piste ciclabili e raccolta differenziata.

In Santagnese10 abbiamo ospitato Rita Baraldi del CNR di Bologna, Edoardo Puglisi, Professore associato di Microbiologia agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Andrea Murari, assessore all’ambiente, pianificazione territoriale, beni comuni risanamento e valorizzazione dei laghi comune di Mantova. La sfida che abbiamo messo sul tavolo, sempre rispettando i limiti imposti dalla legge, è quella di garantire una qualità ambientale che sia innanzitutto proiettata al futuro dei luoghi che viviamo. Legambiente considera indicatori relativi ad aria, acqua, suolo, comportamenti virtuosi e vita urbana, e il risultato finale è la somma di valori e posizioni in classifica. Se Mantova, incoronata regina, è forte per piste ciclabili, isole pedonali, alberi e poche e controllate perdite idriche e una raccolta differenziata che raggiunge l’84,23% (terza in classifica su questo tema, ma 50ma per rifiuti prodotti) mentre si allontana dai posti alti in classifica per uso di energie rinnovabili, polveri sottili e ozono. Ha una buona ma migliorabile posizione per quanto riguarda l’offerta e la fruizione di trasporto pubblico, probabilmente percepito ancora come poco necessario dai cittadini stessi, anche per le piccole dimensioni della città. E’ l’aggettivo “verde” che assegna alla classifica e alla lettura dei centri urbani dello stivale la targa di una visione più ampia dell’approccio con la natura, rispettata da una parte e dall’altra conosciuta e valorizzata là dove serve e dove è utile.

Puglisi, da esperto di suolo, proprio di questo ci ha parlato: di quei microrganismi che degradano sostanze inquinanti contribuendo a recuperare la qualità dei terreni. Lo sta facendo con un progetto di bio-fitorisanamento sperimentale tra Diga Masetti e Porto Catena, con risultati incredibili di bonifica in soli 6 mesi: alberi e batteri con la loro interazione sono in grado di ripristinare le funzionalità microbiche del terreno decontaminandolo da idrocarburi e mercurio. Così accade con l’aria, perché gli alberi hanno un ruolo fondamentale nel mitigare le emissioni e lo smog nelle grandi città. A redigere una sorta di lista è stato proprio l’Istituto di Biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Bologna, guidato dalla dottoressa Rita Baraldi, con il progetto europeo Life+ in collaborazione con il Comune di Bologna, per capire quali fossero le migliori piante da utilizzare in città. “Per ogni pianta è stata calcolata, in un ciclo di vita lungo 30 anni, la capacità di assorbimento della CO2 e la conseguente trasformazione in biomassa; la capacità di fissare elementi come benzene, ossidi di azoto, diossina e molti altri attraverso la cuticola e i peli fogliari. Qui gli alberi svolgono un’azione disintossicante, perché capaci di metabolizzare gli inquinanti che compongono lo smog cittadino”.

Ma le piante non sono la panacea di tutti i mali, non possono risolvere le azioni di senso opposto compiute dall’uomo che danneggiano aria, acqua e suolo. Gli effetti dell’indifferenza e dello sfruttamento delle risorse naturali non sono solo dannosi per la salute ma diventano incontrollabili quando incidono sul clima e sui suoi mutamenti, che a sua volta si abbatte con una violenza mai registrata su aree naturali e centri abitati, con venti mai così forti o violente grandinate di enorme portata. Si chiude un cerchio che accende i riflettori su temi come abusivismo e rischio idrogeologico ma va anche oltre e tocca fenomeni sempre meno prevedibili. Dovrebbe creare allarme generale, perché è sempre meno un problema di pochi e sempre più un problema di tutti: solo nelle Dolomiti tra Veneto e Trentino, la Protezione Civile calcola che l’alluvione di questi giorni tra fine ottobre e inizio novembre si siano schiantate al suolo fino a 1,5 milioni e mezzo di metri cubi di piante, con una stima di oltre 400 km di strade forestali che necessiteranno di interventi almeno per i prossimi 5 anni. Non solo, quindi, va rivalutato e incentivato il dialogo con il verde nelle città, ma va rispettato, con azioni di sistema solo apparentemente scollegate fra loro, un patrimonio limitato e finito di risorse, che hanno un ruolo vitale per la nostra sopravvivenza.